Storia dell’Acquasale: un piatto tipico di Andria, simbolo di sostenibilità ed identità territoriale

“Avevo 12 o 13 anni quando mio zio Pasquale, agricoltore di notevole apertura mentale, ebbe la meravigliosa idea di mostrarmi il suo modo di preparare l’<< acquasale>>. Scelse i migliori pomodori rossi, li tagliò a spicchi, ci aggiunse l’olio e mescolò nel piatto per breve tempo questi due primi ingredienti; ci aggiunse vari spicchi di cipolla ( non ricordo se bianca o rossa o tutte e due insieme) mescolando il tutto e poco dopo ci aggiunse l’origano, basilico sminuzzato a mano, il sale ed ancora mescolò. Dopo qualche minuto versò l’acqua fresca, non fredda, anche perché il frigorifero allora era un sogno. Con calma (un po’ olimpica per la mia fame) tagliò a pezzi il pane vecchio, avanzato, duro, regola essenziale per questa vivanda estiva perché non si doveva, e non si deve anche oggi, buttare nulla” – ricorda Nicola Montepulciano. L’attivista ecologista andriese – anche appassionato di Storia locale promotore della tutela dell’identità culturale – ha così voluto “deliziarci” (è proprio il caso di dirlo, visto l’argomento prettamente gastronomico!) parlandoci dei ricordi e delle esperienze legati a questo prodotto tipico andriese:

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“Per piacere non dite “pane raffermo”, mi è insopportabile questo termine, anche perchè chi lo dice mostra una certa dose di sussiego, tutto di qua e di là. Almeno in questo caso è bene usare termini della nostra tradizione culinaria agricola, senza vergognarsi. Il pane duro, dicevo, fatto ammorbidire in acqua al punto giusto che portava il sapore dell’olio, dell’origano o del basilico, si mangiava ora col pomodoro ora con la cipolla, non faceva per nulla pensare che questa vivanda fosse povera, umile semplice. Ma è davvero povera? Ancora così preparo l’acquasale, nulla a che fare con le varie panzanelle et similia, che considero alla stregua di insalata e che purtroppo mi toccò introdurre in bocca in Toscana. E se nel fondo del piatto dovesse formarsi il residuo alimentare costituito da semi di pomodoro, pezzetti di cipolla, basilico o origano, sempre condite e circondate da piccole chiazze d’olio, con l’aiuto di un pezzetto di pane, questa volta fresco, lo raccolgo nel cucchiaio ed è l’ultimo bocconcino prelibato. Non è l’acquasale una degna vivanda della Dieta Mediterranea? E’ anche vegetariana e anche vegana? Quando la preparai per un gruppo di amici a Siracusa, una disse:” Ma così mangi acqua”. Già, ma angurie, meloni, peperoni, pomodori, melanzane, cetrioli, casorelli, zucchine, pesche, uva non contengono acqua? I nostri genitori imitavano spesso la natura. L’acquasale col pomodoro non è antichissima, bensì antica, perché questa Solanacea entrò a far parte della cucina italiana, e non solo, un secolo dopo l’arrivo dall’America centrale. Molti anni fa, per conto del periodico cittadino “ANDRIA” diretto dall’indimenticabile Michele Palumbo, condussi una lunga ricerca su questo piatto e scoprii tanti altri tipi di acquasale e annesse varianti. Ne ricordo appena una per quella già descritta, con cipolla lunga abbrustolita, ma la preparazione completa non la ricordo più. C’è anche l’acquasale del limone che si mangia sia d’estate che d’inverno: d’estate con l’acqua fresca, d’inverno con quella calda o tiepida. C’è anche quella con l’arancia ma d’inverno e con l’acqua calda. Con buona probabilità queste ultime sono più antiche di quella col pomodoro. Tutte, però, hanno in comune una caratteristica: la semplicità e questo mi fa pensare che sia una caratteristica della nostra città, tale da poter dire “le acquasale di Andria” – ha concluso il nostro concittadino che ancora una volta ringraziamo per il suo semplice quanto preziosissimo contributo, volto alla tutela della memoria storica e alla corretta informazione circa l’origine di un piatto tipico di Andria, simbolo di uno stile di vita sostenibile ed inevitabilmente ecologico – meritevole di recupero – che non va confuso con altre “imitazioni scorrette”.

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