«Circola da diversi giorni la notizia di un progetto che porterebbe a trasformare la dolina carsica del Gurgo di Andria, nei pressi del santuario del SS. Salvatore, in una vasca di laminazione. L’intervento sarebbe finalizzato a proteggere la parte meridionale dell’abitato di Andria dal rischio alluvioni, evento che già si è verificato in passato. A tal fine le acque torrenziali, causate da eventi atmosferici intensi, che attualmente si canalizzano nel solco della lama Ciappetta-Camaggio, che insiste nell’antico fiume Aveldium e che attraversa la zona a sud dell’abitato, verrebbero deviate in direzione di una vasca di laminazione, cioè un sito nel quale raccogliere le acque in eccesso per poter poi essere smaltite in sicurezza. Tale sito sarebbe stato individuato proprio nel Gurgo di Andria» – osserva l’architetto Vinzenzo Zito. Già autore di numerose pubblicazioni riguardanti il patrimonio storico-architettonico della città di Andria, Zito ha quindi aggiunto:
«Questo progetto fa seguito ad una serie di errori perpetrati in Andria da oltre un secolo addietro e rischia di crearne altri. Come si è arrivati a questa situazione: note storiche.
La città di Andria è sorta sul versante destro del sito dell’antico fiume Aveldium e, fino a quando le costruzioni non hanno raggiunto il letto della lama le acque meteoriche, di qualunque intensità, hanno potuto defluire regolarmente verso il mare. Verso la metà dell’800, con la costruzione del tratto di strada mediterranea da Canosa a Corato e che lambiva Andria nella parte a sud, fu realizzata l’attuale piazza Porta la Barra. In tale circostanza, per assicurare il deflusso delle acque meteoriche, il tratto di lama che passa nella zona fu tombato, cioè fu incanalato in un canale sotterraneo, e questo causò l’innalzamento della quota della piazza che risulta superiore alla quota della via omonima che porta alla chiesa di S. Agostino, come chiunque può verificare ad occhio nudo.
Il canale sotterraneo venne a costituire un collo di bottiglia che ostacolava il regolare deflusso delle acque meteoriche nei momenti di sua alta intensità, ma questo non potè causare problemi perché l’acqua in eccesso si accumulava nella zona a monte della piazza, per intenderci nella zona dove esiste l’oratorio di S. Agostino, all’epoca priva di edifici e coltivata ad orti. Anche i successivi lavori di tombatura del tratto a valle della lama, lungo quello che è l’attuale via Eritrea, eseguita verso la fine dell’800, per gli stessi motivi non hanno mai causato problemi, i quali invece cominciarono a sorgere dopo la seconda guerra mondiale. Infatti, con la progressiva edificazione nella valle a monte (zona oratorio di S. Agostino), inopinatamente autorizzata o tollerata dalle amministrazioni comunali dell’epoca, si crearono le premesse della famosa alluvione del 1968 che interessò tutta la zona con gravi danni alle case ed alle cose. Questo successe perché quella zona che un tempo era orto, al quale l’alluvione non avrebbe potuto far danno, era diventata una parte di città con case e aziende. Nonostante questo precedente, che avrebbe dovuto mettere in allarme le competenti autorità, passata l’alluvione tutto tornò come prima e si continuò inopportunamente a costruire, grazie anche al Programma di Fabbricazione approvato l’anno successivo che, incredibile a dirsi, aveva classificato la zona come edificabile. Infatti anche negli anni successivi le alluvioni non sono mancate, sia pure di entità meno intensa, causando danni, con allagamenti nei piani interrati, alle case inopinatamente costruite lungo il ciglio del canale. Quando la Regione Puglia, con il suo piano di difesa idrogeologico, ha classificato la zona come a rischio, ormai c’era ben poco da proteggere perché era tutto già costruito. Il progetto di una vasca di laminazione: alcune perplessità vs. errori. Per prevenire una potenziale futura alluvione, che certamente causerebbe danni ben maggiori di quelli causati nel 1968, si è pensato di realizzare una vasca di laminazione per raccogliere le acque in eccesso per poi smaltirle in sicurezza» – ha proseguito l’arch. Zito che ha quindi concluso:
«Tuttavia, anziché cercare di individuare una zona idonea lungo il corso della lama si è pensato di utilizzare la dolina carsica del Gurgo, che si trova molto distante dalla lama. Dal punto di vista ambientale tale idea è stata contestata sia dall’Ordine dei Geologi e sia da ambientalisti e politici sensibili al problema. Quindi non sarà il caso di riprendere le argomentazioni svolte con tanta competenza. Quello che in questa sede interessa mettere in evidenza riguarda la fattibilità tecnica dell’intervento e le sue conseguenze sul territorio. Per deviare le acque dalla lama al Gurgo bisogna realizzare un grosso canale di derivazione che sicuramente andrà ad incidere negativamente sul territorio, con distruzione di estese aree fertili prevalentemente coltivate ad oliveto. Qualora, per quanto è dato di sapere, il canale di derivazione dovesse partire dai pressi dell’altura di monte Faraone, la distanza da percorrere sarebbe di ben tremila metri circa in linea retta, per superare un dislivello che, dalle carte geografiche disponibili, si aggira sui venti metri, e quindi con una pendenza dello 0,7 per cento circa. Naturalmente un percorso non rettilineo comporterebbe una riduzione della pendenza e aumenterebbe le aree fertili da distruggere. Inoltre le acque che sarebbero raccolte nel Gurgo non sembra che possano essere agevolmente smaltite per cui si dovrà attendere che vengano assorbite dal sottosuolo, con ulteriore inquinamento della falda sotterranea, come ha messo bene in evidenza la Società Italiana di Geologia Ambientale con un articolo su “Il Giornale dell’Ambiente”. Si stanno quindi creando le premesse per cui, per rimediare ad errori del passato, se ne debbano creare di nuovi» – ha concluso l’architetto Vincenzo Zito.
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