E’ un uomo di 60 anni di Andria l’autore della barbarie ai danni di un cinghiale sull’Alta Murgia. Il soggetto in questione era stato filmato da altri componenti del “branco” che ha inseguito ed ucciso uno degli animali. Il video era divenuto subito virale sui social e poi ripreso anche da alcune emittenti televisive che ne hanno giustamente sottolineato la gravità dell’azione violenta, per nulla giustificata anche in contesti di sovrappopolazione della specie.
Un reato punibile dalla Legge che fortunatamente è stato condannato dalle associazioni ambientaliste locali e che adesso ha anche visto una denuncia penale nei confronti dell’uomo da parte dei Carabinieri Forestali. Un conto è pensare che questi animali rappresentino una specie alloctona (ovvero non autoctona) e che molto spesso siano concausa di incidenti stradali e danneggiamenti agricoli, un altro è adottare atteggiamenti che forse nemmeno i cosiddetti “barbari” dell’impero romano utilizzavano nei confronti degli animali. Si tratta di esseri viventi che altro non hanno se non la colpa di essere nati nel posto sbagliato, figli di cinghiali introdotti dall’uomo e che eventualmente potrebbero essere narcotizzati e spostati in altre aree boschive. Non di certo tutto ciò può giustificare simili azioni vergognose e totalmente illegali, oltre che eticamente inaccettabili.
Il maltrattamento di animali, in diritto penale, è il reato previsto dall’art. 544-ter del codice penale ai sensi del quale: “1. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi o con la multa da 5 000 euro a 30 000 euro. 2. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. 3. La pena è aumentata della metà se dai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale.”
Il 3° comma dell’art. 544-ter prevede una circostanza aggravante a effetto speciale, che si concreta nell’ipotesi in cui dalle condotte di cui al 1° comma derivi la morte dell’animale. Tale aggravante sussiste solo se la morte è conseguenza, non voluta, del maltrattamento, della quale l’agente neppure ha accettato il rischio. Viceversa si configura il reato di uccisione di animali. Del singolare episodio di cronaca ne aveva parlato anche il servizio diffuso su YouTube dall’emittente televisiva Telesveva, che linkiamo qui sotto:
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